Ad Astra – P/review

Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all’esplorazione di strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima:

questa è la frase (che era pronunziata all’inizio di ogni puntata di Star Trek, serie originale) che mi è venuta in mente per introdurre il titolo di oggi, ossia Ad Astra, l’ultima creazione (prodotta dalla   NG international e distruibuita negli USA da Fantasy Flight, in Germania da Heidelberger, in Spagna da Edge ed in Francia da Millenium) del prolifico autore francese Bruno Faidutti (in collaborazione con Serge Laget), assai noto (del quale ricordiamo Citadels, Mistery of the Abby, Pony Express e Red November)   sul web anche per il suo sito, nel quale è contenuta la sua ‘ludoteca ideale’, ambientata, appunto, in un ipotetico futuro nel quale la razza umana si troverà a lanciarsi in una frenetica esplorazione di altri mondi, da colonizzare per trovare una nuova patria, in coincidenza con la morte del nostro vecchio sistema solare.

Ciò premesso, il gioco in questione è un titolo di difficoltà media / medio – bassa, da molti definito, succintamente, nei primi commenti, come il ‘Catan dello spazio’, per via di alcuni meccanismi che ricordano ia creazione di Teuber.

Venendo al gioco in sè partiamo dai materiali, dicendo che la prima innovazione proposta è quella della mancanza di un tabellone di gioco, sostituito da una  cinquantina di dischi, raffiguranti (9 di essi) delle stelle e (gli altri 43) dei pianeti: all’inizio di ogni partita si dispongono i pianeti, coperti (ossia senza che ne sia visibile il tipo), intorno alle stesse, in modo casuale (da tre a sette per stella). Fa eccezione solo in nostro sistema solare, intorno al quale si piazza un pianeta per giocatore, visibile, sul quale è posta una fabbrica dei rispettivi proprietari: ad ogni giocatore è inoltre attribuita anche una nave spaziale, che collocherà in qualsiasi spazio tra i sistemi creati nella fase di setup, a simboleggiare che la nave è nello ‘spazio profondo’.
Ogni giocatore riceve quindi un set di carte ‘azione’ (11), nonchè di segnalini del suo colore (altre 3 navi spaziali, 3 fabbriche, 4 colonie e 4 terraformer) ed una risorsa di ogni tipo (sei, ossia acqua, cibo, energia e minerali, X,Y e Z).

Il gioco si sviluppa quindi in modo piuttosto semplice e lineare, consistendo nella ripetizione di una serie di turni, fino a che non si verifica una delle condizioni di fine partita, consistenti nel raggiungimento di 50 punti da parte di un giocatore, oppure nella avvenuta esplorazione (scoperta) di tutti i pianeti.
Ogni turno si articola in due fasi, ossia: 1) preparazione e 2) azioni.

Nella prima fase ogni giocatore, a turno, piazzerà una delle sue carte azioni, coperta, su di una apposita scheda, con un numero di spazi numerati (da 1 a 12 per 3/4 giocatori, da 1 a 15 per 5 giocatori) e lo stesso faranno gli altri, sino a completamento della scheda. Il meccanismo ideato tende a rivoluzionare l’ordine di gioco (un principio che anima molti dei titoli recenti) rispetto al classico ‘senso orario od antiorario’ e consente ai giocatori, sulla base delle proprie valutazioni strategiche, in che ordine collocare la propria azione, a seconda che desiderino che sia o meno preceduta da quelle degli altri.

Nella seconda fase invece si procederà ad eseguire le azioni, girando le carte una alla volta ed eseguendo quanto indicato. Si noti che in genere ogni azione, per quanto chi ha giocato la carta abbia determinati vantaggi (in termini di risultato o di scelta, quando possibile, tra diverse opzioni) si applica a tutti i giocatori (tipo in Puerto Rico, per capirci), per cui gli effetti devono essere ben valutati da chi è di turno. Le azioni in sè, per quanto le carte azione a disposizione dei giocatori siano un set da 11, si riducono poi a 5 (presentate con determinate possibilità di scelta), ossia PRODURRE (con attribuzione di carte risorsa di un certo tipo), MUOVERE una o più navi spaziali (pagando eventualmente il costo in energia), COSTRUIRE infrastrutture (la carta nell’immagine a fianco, pagando le risorse corrispondenti), COMMERCIARE (ossia scambiare con gli altri risorse) e SEGNARE PUNTI (ossia ottenere dei punti in virtù del possesso di colonie, navi spaziali o terraformers.

La base è tutta qua: ci sono poi alcune particolarità che si possono vedere nelle regole, alle quali come d’uso rinvio per i più interessati (in inglese), tra le quali segnalo la presenza di carte ‘artefatto alieno’, che si ottengono nell’esplorare per primi uno dei 5 pianeti ‘alieni’ (che non produno però risorse) contenuti nel set dei pianeti.

Ok, veniamo ora alle impressioni, tratte sia dalla lettura del manuale che dalla visione di qualche sessione di gioco. Ricordo che si tratta di una p/review (ossia di una via di mezzo tra preview e review, visto che non ho ancora giocato estensivamente al gioco, come richiederebbe la review), per cui si tratta solo di indicazioni di massima.

Il gioco in questione sembra decisamente ben fatto, godendo di una presentazione valida, dal punto di vista grafico (a me perlomeno piace, anche per l’effetto ‘spaziale’ che crea la mancanza di un tabellone fisso, nonchè per la linea di colori tendenti al nero – spazio), e di un set di regole intelligente e piuttosto facile da digerire. E’ pur vero, nel contempo, che alcuni meccanismi non risultano proprio innovativi, ricordando in particolare quelli dei coloni di Catan, tanto che alcuni dei primi commenti su internet cominciano a parlare di Ad Astra come del ‘Catan dello spazio’: tra le regole che omaggiano in qualche modo l’illustre predecessore abbiamo infatti la presenza di una fase di scambio risorse, l’idea della costruzione delle infrastrutture restituendo le carte risorsa e la presenza, appunto, di tali carte, oltre a quella di carte ‘probabilità’. Ancora tra i pregi si può segnalare il fatto che il gioco possa essere proposto, per la sua non elevata difficoltà, anche a neofiti e che offra una ottima interattività, che dovrebbe donare un buon divertimento ai giocatori. La presenza di fattori di aleatorietà, quali la casualità nella esplorazione dei pianeti o della pesca delle carte e la difficile prevedibilità delle scelte di azioni avversarie (soprattuto per l’ordine), può rendere il gioco poco gradito a chi ricerchi prodotti più ‘matematici’ o suscettibili di scelte tattiche e strategiche più profonde, però la cosa è da considerarsi come connaturata al target prescelto per il gioco, piuttosto ampio. A livello di critiche in molti segnalano (censurando in tale logica la qualità relativa dei materiali) il prezzo, che risulta leggermente alto, per il tipo di prodotto, visto che si aggira sui 40 euro (salvo sconti), ossia qualche euretto più di altri giochi similari: penso però che i due aspetti, qualità e prezzo, vadano sempre valutati separatamente, visto che il giudizio deve essere compiuto sulla base del primo, mentre il secondo entra in considerazione solo quando si sceglie poi se acquistare o meno. Le impressioni, pur statisticamente non significative, raccolte dai giocanti a Lucca sono state comunque molto buone. Resta da vedere se il gioco sfonderà da noi, dove la fantascienza, per motivo a me non chiarissimi, è un tema di fondo poco gradito ai più.

In definitiva penso che sia un titolo valido, basato su meccanismi di base già visti, ma consolidati con alcune buone e nuove idee, che può ambire a diventare un classico. Lascio però ai lettori il giudizio finale: interessati o no ?


Prima di pubblicare la P/review, sono riuscito anche ad avere dall’autore una piccola intervista, nella quale egli, rispondendo ai quesiti rivoltigli, molti dei quali vertevano sui contenuti dell’articolo, al quale l’autore, non comprendendo l’italiano, non poteva altrimenti replicare.
Per chi non mastica l’inglese sintetizzo le risposte fornite dal gentile Bruno Faidutti, dicendo che egli ammette di essersi ‘ispirato’ ai Coloni di Catan per la sua creazione (nella quale ha lavorato anche Serge Laget), ma di aver solo sfruttato l’idea generale del ‘motore’ del gioco, inserendo molte innovazioni su di esso.

In particolare Bruno, rispondendo così alle perplessità che avanzo nell’articolo, spiega come a suo avviso in Ad Astra non ci sia un gran fattore fortuna: in effetti secondo lui c’è anzi molta ‘psicologia’ dietro, nel senso che i giocatori devono cercare di immaginare (predizione che può diventare, effettivamente, più realistica con l’aumentare dell’esperienza) cosa gli altri giocatori faranno, ovvero come piazzeranno le loro carte, comportandosi di conseguenza. E’ proprio questo risvolto psicologico che rappresenta, a suo avviso, uno dei punti di forza del gioco.
Parlando poi dei suoi progetti passati, alla domanda con la quale gli chiedevo di indicare di quali titoli sia più orgoglioso, spiega di essere molto affezionato al classico Citadels, di grande successo, ma anche a titoli come Castle o Fist of Dragonstones, pure poco fortunati in termini di accoglienza da parte del grande pubblico.

Bene, lascio ora spazio alla versione originale dell’intervista, sperando che le parole dell’autore possano aiutarvi a capire ancora meglio il gioco !!

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Ad Astra seems to be a title built in a such way to become ‘a classic’, since it uses some consolidated game mechanics, merged with some new ones. Do you agree ?

It was not “built to be a classic”, it was built like most of our games, just in the way Serge and I wanted it to be played. It happens  that Serge likes Science Fiction, that I like secret programming, and that both of us are Catan fans…   

One of the recurrent definitions of Ad Astra over the internet is that it’s the new ‘Catan of space’: how do you comment / reply to that ?
It obviouly borrows its production engine from Catan, but I think there’s much more to it, especially the way resource production and other actions are handled by the players, making the game very psychological, which Catan isn’t.


There is a good luck factor (together with a lot of possible planning and strategy, though) in the game: do you agree ? It seems to be a choice made to have a game suitable for the mainstream: is it a good guess ?
I don’t think there’s much luck in Ad Astra, unless you consider what action cards other players are placing is random. This psychological aspect of the game can bring some chaos, but not real randomness. This aspect is always why I’m not sure this game will go really mainstream, but who knows !


How many copies will be printed in the international edition ? And in the Italian one ?
I have no idea. I never asks publishers for this unless I have a strong reason for it.


Can you tell us what’s, in your believe, your best title ever made ? And what title had the worst acceptance by the public (while you thought it could be a hit …) ?
Of all my designs, the best one are probably Citadels, Castle (with Serge Laget, like Ad Astra) and Fist of  Dragonstones (with Michael Schacht). Castle didn’t sell that bad, though it hasn’t been reprinted for long, and Fist of Dragonstones was a flop. This surprised me because I think it has the same intricate psychological aspect as Citadels.


Future projects you’re working on ?
Lots of, including an expanded version of Castle which is still looking for a publisher

— Le immagini del gioco riprodotte sono tratte dal regolamento, da BGG (postate da Julien Vion, Antony Hemme,Wedge) o dal sito della casa produttrice (Fantasy Flight), alla quale appartengono tutti i diritti sul gioco. Le immagini e regole sono state riprodotte ritenendo che la cosa possa rappresentare una gradita forma di presentazione del gioco. —