The Long Road to Zimbabwe : scopriamo la Splotter Spellen (I)

scritto da Agzaroth

Qualcuno lo avrà già capito. Si parla di Splotter Spellen
Una piccola casa editrice Olandese che ha prodotto alcuni dei giochi più riusciti degli ultimi anni, almeno a parere di chi scrive. È già generoso parlare di casa editrice, perché in realtà si tratta di due amici (Jeroen Doumen e Joris Wiersinga) che si autoproducono e autodistribuiscono.
In questa panoramica parleremo principalmente dei 5 titoli che conosco meglio e che sono tra i più quotati della loro intera produzione: Roads & Boats (1999), Antiquity (2004), Indonesia (2005), Greed Incorporated (2009), The Great Zimbabwe (2012).
Un paio di parole su tipologia e diffusione. Se cercate oggi in giro, vi sarà difficile reperire uno di questi titoli (a parte forse Greed) senza sborsare una cifra non indifferente. Questo è dato da una serie di fattori ampiamente discussi e criticati in molti forum in giro per la rete.

In ogni caso si può riassumere la questione come segue:

1) Essendo una produzione “familiare”, alla Splotter non vogliono rischiare più di tanto producendo molti pezzi. Anche perché non tutti i loro giochi hanno venduto altrettanto bene e hanno avuto lo stesso successo.
2) I giochi Splotter non piacciono a tutti. E non perché siano molto più complicati di altri, anzi, ma sono certamente più complessi della media. Inoltre hanno un’altra caratteristica: non perdonano. Un errore e sei fuori dai giochi. JD lo ha ribadito anche in una recente intervista: a loro piace fare giochi in cui anche le prime mosse del primo turno hanno una grande importanza… altrimenti perché giocare i primi turni? Questo colloca i loro prodotti in una nicchia di un mercato già di nicchia. Da qui la scarsità di ristampe dei vecchi giochi.

3) Lo fanno per hobby e non per lavoro. Guadagneranno qualcosa, certo, ma non vivono di giochi. Vogliono essere liberi di proporre i titoli che vogliono al prezzo che vogliono, con i tempi che vogliono. Perché un loro gioco deve piacere prima di tutto a loro. Probabilmente, quindi, si accontentano del loro attuale sistema di produzione e non cercano spinte e aiuti dall’esterno. Quello che paghi (salato) nelle loro scatole è soprattutto il playtest, le idee e la profondità che il gioco ti può regalare. 

Tutto questo, unito alla indiscussa qualità dei loro titoli “di punta”, ha creato attorno alla Splotter una sorta di aura mistica, almeno tra gli appassionati e un inevitabile aumento dei prezzi dei loro già poco economici giochi, al mercato dell’usato (ah, se ripenso a quanto ho pagato Roads & Boats…).

Detto questo, se avete occasione di provarli, provateli, senza pregiudizi e col dovuto impegno. Non sono titoli che si padroneggiano alle prime partite, non hanno i componenti della Fantasy Flight, non hanno l’ergonomicità dei migliori german, ma hanno profondità, bilanciamento e strategia da vendere. 

I MATERIALI

Il punto più dolente della ditta olandese. Si sa che le autoproduzioni più di un tanto non possono possono spingersi. Mentre defustellavo Roads & Boats e Antiquity, mi sembrava di vivere un incubo di cartone. Digrignando i denti, smistando i minuscoli segnalini nelle millemila vaschette preparate per contenerli (le vaschette le devi comprare tu, col cavolo che te le danno loro), mi ripetevo solo “speriamo che ne valga la pena”. 
Ne è valsa la pena. 

Roads & Boats, poi, con quel foglio di plexiglas trasparente e pennarelli cancellabili per disegnarci sopra le strade, è inguardabile. Mi sono subito rifiutato di compiere un atto simile e ho immediatamente provveduto all’acquisto di bastoncini di vari colori per simulare strade, reti elettriche e ferrovie direttamente sugli esagoni della mappa: molto più chiaro e pulito… e costoso.

I segnalini poi, oltre a essere piccoli, presentano anche parecchie analogie (tra beni primari e secondari) sia cromatiche che iconografiche e alla prime partite diventa difficile distinguerli al volo. Indispensabile il supporto di un foglio di aiuto, per districarsi nella miriade di produzioni/conversioni che il titolo offre.
Per il resto i componenti non sono malaccio: il cartone degli esagoni non è eccezionale ma neanche si imbarca, le pedine in legno dignitose e ognuna della forma idonea per quel che rappresenta. Però certo, il 90% del gioco è fatto dalla mobilitazione/produzione dei famigerati segnalini…

Anche Antiquity non è il massimo dell’ergonomicità, con quei segnalini minuscoli, ma una volta apparecchiata la tavola e iniziato a giocare, ti rendi conto che, specie in 4, lo spazio è davvero risicato e la lettura della plancia semplice. Certo non è che siamo di fronte a un tripudio di arte figurativa: tutto è molto pastello e piatto… però, riflettendoci, tutto sommato per le 4 ore che il gioco richiede le tinte tenui sono meno stancanti.

Indonesia fa un salto di qualità per i segnalini, più grossi e di meno tipologie, e le gemme di vetro usate per le città hanno un loro perché. In compenso la mappa è sovraccarica (con tutte quelle linee) e di difficile lettura, almeno finché non ci si fa l’occhio (abbastanza presto, per la verità). Alcune zone sono un po’ troppo piccole e ravvicinate per contenere bene i segnalini e il problema più grosso è rappresentato da quelli da piazzare vicino alle città per simboleggiare le merci vendute: fanno confusione e rischiano di mescolarsi agli identici segnalini piantagione. . E via altri euri.

Problema risolto autonomamente comprando cubetti da 0,8mm dei 5 colori per simboleggiare le merci vendute

Secondo grosso problema ergonomico: il delirante sistema cromatico delle compagnie di navigazione (sono in 3 colori e ciascuno in 2 forme, con tutto un paragrafo dedicato ai suggerimenti per come usarle). Capisco che per contemplare tutte le possibilità del gioco, i pezzi di nave inclusi sarebbero dovuti essere davvero tanti…ma la soluzione trovata non è davvero delle più felici. Soluzione: comprare navi di diversi colori sborsando altri euri. Ovviamente non è necessario fare quello che ho fatto io e in giro la maggior parte delle persone gioca col titolo così com’è out of the box, però, se volete l’ergonomicità…
Greed, per fortuna, non ha grossi problemi. Certo, il cartoncino delle plance è sempre sottile; Il tabellone centrale si imbarca un po’; le carte sono di una misura non standard. Insomma, le solite cose da Splotter Spellen, ma dopo aver giocato agli altri tre qui sopra, Greed vi sembrerà già un deciso passo avanti. Anche perché dal punto di vista iconografico è sicuramente più curato e accattivante (e no, non mi riferisco solo alle donnine provocanti delle carte…).

Il vero scatto di qualità si ha con The Great Zimbabwe. Lo so che molti, abituati a ben altre case produttrici, faranno un salto sulla sedia, ma se considerate tutto, siamo nella media. Pezzi in legno in abbondanza, carte e cartone del tabellone di buona qualità, illustrazioni etniche perfettamente in tema col gioco. Lascia a desiderare la grafica del tabellone, ma giocandoci vi accorgerete che è estremamente funzionale. Il tabellone di TGZ va progressivamente riempito e “creato”con i pezzi di gioco. Devi subito avere il colpo d’occhio su artigiani, risorse, acque comunicanti, snodi di trasporto. Non ci devono essere altri elementi di distrazione a disturbare l’occhio, perché il gioco è già complesso di suo. Insomma, a me The Great Zimbabwe piace così com’è e non cambierei una virgola.

Concludendo quindi possiamo dire di non avere anche fare con dei giochi dall’estetica sublime e dalla componentistica superlativa. Però il più delle volte il tutto è molto funzionale (escludendo Indonesia) e adeguato. Inoltre si nota un miglioramento nel tempo, segno che fa ben sperare per il futuro.
I GIOCHI

Non è il caso, in questa sede, di descrivere approfonditamente il funzionamento dei vari giochi. Anche perchè sennò diverrebbe una multirecensione, decisamente pesante. Evidenzierò quindi solo le meccaniche principali e i tratti caratteristici o che li accomunano.

Roads & Boats (1-4 giocatori, 240 minuti) può essere definito un gioco di civilizzazione che si basa sul “pick up & deliver”, ovvero carica e spedisci. Civilizzazione perchè, partendo da asini, zattere e tronchi, arriverete a sviluppare aerei, navi mercantili, reti elettriche e manager industriali. Il tutto con lo scopo di produrre la risorsa A in un edificio, trasportarla a un altro impianto e trasformarla in B. dove B>A in termini di rendimento e punti vittoria. I giocatori concorrono anche alla costruzione (sempre tramite risorse) di un mistico tempio (che simboleggia il Progresso?) con la doppia funzione di fornire PV e scandire il tempo di gioco.
La particolarità di tutto il sistema è che né gli edifici né le risorse sono a priori di alcun giocatore. I complessi primari producono materie prime in automatico ad ogni turno, quelli secondari lo fanno purché riforniti di materia prima. Di fatto il giocatore ha il controllo sulla logistica (si possono avere fino a 8 mezzi di trasporto) e quindi sulla mobilitazione di tali beni, la loro trasformazione e spesa finale… purchè qualcuno non lo faccia prima. Man mano che ci si espande sulla mappa, difatti, la determinazione dell’ordine di turno diverrà fondamentale ed anche qui è gestita con un elegante e semplice meccanismo che impedisce ad un giocatore di rimanere primo per diverse fasi fondamentali di seguito.
Immagine di Henk Rolleman

Il gioco spinge anche ad una sorta di collaborazione. Se il giocatore 1 costruisce un edificio per produrre A e si accorda col giocatore 2 per fare un altro edificio che trasformi subito A nel più redditizio B, dividendo i proventi, è chiaro che questi due giocatori saranno avvantaggiati rispetto a uno che tenta di far tutto da solo. Almeno finché la rivalità sopita non si manifesta con qualche bel muro. Sì, perchè è possibile costruire muri del proprio colore ai lati degli esagoni in modo da permettere il transito solo dei propri mezzi. Ovviamente è possibile anche distruggerli e ricostruirli. Ed è a questo punto che l’interazione inizia a farsi cattiva.

Antiquity (2-4 giocatori, 120-240 minuti) è un altro gioco economico di civilizzazione a scelte multiple. Si gioca su due livelli: uno personale cittadino in cui si costruiscono edifici con svariate funzioni; uno extraurbano per cui ci si espande e si sfrutta la mappa comune, inquinandola e consumando le risorse. Questo secondo aspetto, assieme al meccanismo della carestia che aumenta ad ogni turno e che tende a riempire il prezioso spazio delle vostre città di tombe, costituisce l’aspetto più difficile e interattivo del titolo.

Immagine di Henk Rolleman

Una gestione subottimale della propria espansione può portare ad effetti catastrofici a volte irrecuperabili. In ogni caso, da circa metà partita in poi, ci sarà una sovrapposizione tra le zone di influenza delle varie civiltà, con conseguente notevole fastidio reciproco. L’interazione di questo gioco è infatti spalmata su una iperbole: nulla all’inizio, massima e distruttiva alla fine. 

Le scelte sono sempre difficili perché tutti gli edifici sono buoni e hanno una funzione che pare irrinunciabile. Ma spazio e risorse sono davvero risicate, imponendo scelte difficili e cruciali.
Una delle caratteristiche più interessanti del gioco è che ciascuno sceglie le proprie condizioni di vittoria. Ci sono 5 diversi santi a cui votarsi (e in alcuni momenti serve davvero) e ciascuno fornisce un beneficio e una differente condizione di vittoria. Si va dal dover costruire tutti i tipi di struttura del gioco, all’immagazzinare tutti i tipi di merce, al mobilitare tutti i cubi lavoratore, fino all’invadere tutto lo spazio vitale di un avversario. 
Indonesia (2-5 giocatori, 180 minuti) è quello che viene di solito indicato come il capolavoro assoluto della Splotter Spellen.
È un gioco logistico economico ambientato nell’arcipelago indonesiano. I giocatori investono in compagnie produttive e in compagnie di navigazione incaricate di trasportare i beni prodotti alle città. La mappa “cresce” costantemente con nuove colture e agglomerati urbani, aumentando richiesta di materie e giro di affari. Il senso di progresso è dato anche da una scala di abilità individuale che aumenta di turno in turno, scala sulla quale ciascuno sceglie in cosa progredire, differenziando così a piacere le strategie di gioco. La particolarità del titolo sta nella possibilità di fusione tra due compagnie simili (es.: due compagnie produttrici di riso o due di navigazione), tramite un’asta a cui possono partecipare diversi giocatori. Capita così di vedersi sottrarre una compagnia redditizia oppure di veder vincere l’asta che abbiamo proposto, pensando di fare un affarone, da parte di un altro più ricco di noi. Anche qui l’ordine di turno riveste un ruolo fondamentale ed è regolato da una puntata in cui il primo di turno è il primo ad investire e così via, per cui tutti gli altri a seguire hanno la possibilità di scavalcarsi a vicenda. 
Importante dotarsi di una tabella (semplicemente scaricabile e stampabile) per il calcolo di costi e retribuzione durante le operazioni di fusione.
Altro aspetto interessante è la corrispondenza tra motore di gioco  e punti vittoria: i soldi. Vincerà infatti chi è più ricco a fine partita, costringendovi sempre a un calcolo costi/benefici quando fate un investimento.

Greed Incorporated (3-5 giocatori, 180 minuti) è forse il più “diverso” dei 5. E’ un economico azionario in cui i giocatori sono chiamati ad investire in compagnie finanziarie, rivestendo ruoli dirigenziali all’interno delle stesse. Una singola compagnia può vedere la partecipazione di più di un giocatore, secondo una scala gerarchica, per cui il più alto in grado deciderà le politiche aziendali.
Le particolarità del gioco sono due:

1) più di tutti gli altri spinge alla contrattazione. Infatti alcune materie prodotte dalla compagnia sotto il controllo di un giocatore, possono spesso essere trasformate in altre più redditizie dalla compagnia di un avversario, con un guadagno per entrambi. Inserisce quindi un meccanismo di contrattazione non regolamentato dal gioco ma lasciato al tavolo e per questo fortemente gruppo-dipendente. In realtà i momenti di scambio possono banalmente essere regolamentati con una clessidra. Inoltre, facendo due conti, c’è in realtà sempre un calcolo abbastanza semplice per vedere come andrebbero ripartiti i soldi ottenuti dalla compartecipazione di due giocatori, per cui, se si sa un po’ di buon senso, i tempi si riducono notevolmente.

2) Per vincere dovete fallire. Avete capito bene: lo scopo del gioco è portare una compagnia all’apice della ricchezza e poi affossarla per ottenere una liquidazione d’oro in sede di licenziamento. Con questi soldi personali si vanno poi ad acquisire carte status symbol che sono i punti vittoria del gioco.
È un gioco con un sistema e una filosofia di base davvero particolare.
Infine, The Great Zimbabwe (2-5 giocatori, 120 minuti). Gioco logistico economico, vede i giocatori impersonare una tribù africana intenta a costruire monumenti, simbolo della propria prosperità e anche punti vittoria del gioco. Anche in questo caso vengono prodotti beni primari e secondari, sfruttando pure gli artigiano altrui (che però vanno pagati).

I beni vanno poi trasportati ai propri monumenti (pagando il trasporto alla banca) e qui utilizzati per innalzare la costruzione. Questa parte generale distilla in pratica l’essenza dai meccanismi di Roads & Boats e Indonesia. 

Per il resto, invece, si espande e amplifica l’idea delle divinità di Antiquity. Difatti tutti i potenziamenti (artigiani, dei o specialisti) acquisiti nel gioco concorrono ad aumentare la propria soglia personale di punti vittoria da raggiungere per vincere. In pratica, più ti potenzi, più vedi allontanare il traguardo. Se sfruttati a dovere, i bonus presi garantiscono comunque una maggiore efficacia di gioco, se sfruttati male sono una inutile zavorra. 
Il tutto è coronato da una rivisitazione del classico meccanismo ad asta per decidere l’ordine di turno (anche qui spesso fondamentale) in cui chi offre di più per rimanere/andare in testa ridistribuisce la sua ricchezza agli altri giocatori.

[continua e finisce nel prossimo articolo dedicato alla Splotter Spellen. A Presto!!]

— Le immagini sono tratte dal manuale, da BGG (postate da Jeroen Doumen)  o dal sito della casa produttrice (Splotter Spellen)) alla quale appartengono tutti i diritti sul gioco di cui si parla. Le immagini e regole sono state riprodotte ritenendo che la cosa possa rappresentare una gradita forma di presentazione del gioco. —

5 comments on “The Long Road to Zimbabwe : scopriamo la Splotter Spellen (I)

  1. Onestamente, leggendo questo articolo, sono ancora più perplesse riguardo alla suddetta casa di produzione.
    Diciamo che le idee sono molto buone (a sentire i pareri di chi ha provato i giochi), il testing è accurato, ma il resto della produzione lascia molto a desiderare, se per giocare al meglio bisogna ricomprarsi metà del materiale e se elementi come la grafica sono trascurati. Non voglio rientrare nella polemica già affrontata nel forum della TdG, ma mi rimane la perplessità sul perché i due amici non si affidino ad una casa di produzione “seria” per poter sfornare prodotti completi ad un prezzo più competitivo. La risposta dei fan della Splotten è che fanno come meglio credono, la diffidenza di tutti gli altri è lecita.

  2. Scrivo da uno che “Splotter Spellen” l'ha letto epr la prima volta in questo articolo o quasi, ma dei motivi per non affidarsi ad una casa produttrice terza potrebbero essere is eguenti:

    – non hai voglia di stare a trattare con dei tizi che propongono modifiche al gioco e/o cambi di ambientazione?
    – a conti fatti ti conviene di più così come margini?

    e alla fine se la gente gli compra i giochi anche così prodotti credo abbiano ragione loro 😛

  3. Posto che possono semplicemente auotpodurre perchè preferiscono farlo, punto e basta, io da intrigato dei loro titoli auspico che riescano a continuare a produrli come vogliono ma poi almeno i titoli vecchi possano pensare di darli alle case editrici che siano così libere di rivederli dove è il caso nei materiali (non nell'impianto di regole obv) e distribuirli a prezzi più accessibili; rimarrebbero così nel tempo le loro edizioni come pezzi da collezione ma seguite da edizioni più popolari e diffuse.

    Sperem

  4. Ho avuto modo di giocare un paio di loro titoli con Agza, avendone impressioni contrastanti. I materiali effettivamente hanno dei limiti, ma non sempre nella stessa direzione: Indonesia può rappresentare un piccolo manuale dei potenziali piccoli errori nella progettazione della componentistica di un gioco, mentre Zimbabwe paradossalmente presenta una grafica, nelle carte, che confonde più che aiutare. Dei due mi è piaciuto piuttosto il primo, ma ammetto che entrambi appaiono sicuramente solidi, quanto a meccaniche. Una volta chiarito che i giochi 'girano' già siamo nel campo dell'apprezzabile: poi è chiaro che ci può sempre essere qualcuno, pignolino (ironia verso la Splotter), che gradirebbe una maggior attenzione anche all'occhio, per quel prezzo … 😉

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